Fino al 24 novembre è possibile ammirare le opere del maestro bosniaco, italiano d’adozione, Safet Zec al Padiglione Venezia della 60.Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia in un percorso alla scoperta di un artista fuori dal tempo e dagli schemi.
Figura centrale del movimento artistico chiamato “Realismo poetico” e considerato dalla critica internazionale artista di straordinarie qualità espressive, dalla potente comunicativa, Zec ha voluto ricreare nel Padiglione Venezia le atmosfere e il “caos creativo” del suo studio nell’esposizione Atelier d’artista, che presenta una cinquantina di opere, non solo recenti, che attraversano i temi e i soggetti più significativi dell’opera dell’artista. “In questo spazio dove ho cercato di ricreare l’atmosfera lavorativa, intima e personale, ma da sempre aperta agli incontri, del mio studio, che per decenni è stato a San Francesco della Vigna – sottolinea l’artista – spero si possa cogliere in modo tangibile il mestiere della Pittura, che è il mio mestiere.”
Costretto a fuggire dalla Bosnia nel 1992 a causa della guerra fratricida nella ex Jugoslavia che ha martoriato la sua terra, Zec ha trovato rifugio e accoglienza, prima a Udine e poi a Venezia dove, nel 1998, si è stabilito e ha potuto riprendere a vivere e lavorare. L’invito e la sua partecipazione al Padiglione Venezia non sono dunque solo una testimonianza artistica, ma anche un riconoscimento pubblico, umano e civile, di un legame profondo con la città, divenuta a tutti gli effetti sua seconda patria.
Ad accogliere i visitatori all’ingresso del’atelier ricreato si incontra la prima grande opera Uomo e bimba (2017) dal noto ciclo pittorico Exodus, vibrante testimonianza del grido di dolore di Zec contro l’orrore della guerra, che dialoga e si completa, sul retro, con una tela delle stesse grandi dimensioni, Donna o Madre con bambino (2024), realizzata appositamente per la Biennale. Qui, l’immagine di una donna che regge tra le braccia con disperata tenerezza un bimbo, diventa rappresentazione metafisica del dolore universale. Accompagnano queste due grandi opere, potenti e struggenti, poetiche mani tese di una umanità che cerca, nella preghiera o nell’abbraccio, aiuto, soccorso, pietas, in una sequenza che diventa quasi musica.
Varcando la soglia di questo atelier della memoria, luogo fisico e, al contempo, interiore e introspettivo, si incontrano immagini intense, potenti e poetiche allo stesso tempo. Dall’esplosiva bellezza delle chiome d’albero, alle forme sublimi di corpo femminili, nature morte, letti sfatti, finestre spalancate, forme di pane di suggestione sacrale. E ancora, il tavolo da lavoro, raffigurato in una grande tela speculare ad un vero tavolo da lavoro dove gli strumenti del mestiere di Zec, la Pittura, come lui stesso è solito definirla, si incontrano creando un microcosmo che racconta la sua personale, continua e profonda ricerca artistica.
Quelle di Zec sono opere dal segno personalissimo e inconfondibile, denso e poderoso, di struggente autenticità e potenza che coinvolge immediatamente chi le osserva: oli, tempere, disegni a matita, schizzi e studi preparatori – grandi dipinti e piccole tele.
La sua pittura, una vocazione totalizzante, che l’artista vuole condividere con il pubblico in questo spazio “domestico e affettivo” di creazione, il suo studio, che diventa luogo di incontro, scambio e condivisione, “fluisce con l’incontenibilità di un fiume in piena, possente e composita, lirica o tragica, dolente o gioiosa. Perché è proprio questa l’impressione che si prova nell’accostarsi alla sua opera: l’impeto tumultuoso di una scrittura solida, epica e classica, profonda e onirica…” – come affermato da Giandomenico Romanelli, per oltre trent’anni alla guida del Musei Civici di Venezia.
Una pittura inevitabilmente influenzata dalla sua vicenda personale, una storia scritta per immagini che, liriche o tragiche, dolenti o gioiose, esprimono la gamma infinita dei sentimenti che hanno attraversato la sua vita. Dalla tenerezza al dolore, dalla serenità alla disperazione, all’orrore di una guerra sconvolgente e atroce, al dramma dello sradicamento, della fuga, della migrazione, alla solidarietà e all’accoglienza. Una gamma infinita di sentimenti che l’artista è riuscito a liberare e fissare sulla tela, restituendoci immagini dalla intensa e universale umanità capaci di scuotere nel profondo.
Note biografiche
Pittore e incisore, Safet Zec nasce nel 1943 a Rogatica, in Bosnia-Erzegovina. Dopo gli studi compiuti alla Scuola di Arti Applicate di Sarajevo e all’Accademia di Belle Arti di Belgrado, Zec diventa la figura centrale del movimento artistico chiamato “Realismo poetico”. Vive e lavora a Belgrado fino al 1989. A partire dai primi anni Novanta si impone come uno degli artisti più importanti del suo paese, presente nelle maggiori e più qualificate esposizioni internazionali. Negli anni che seguono è di nuovo a Sarajevo, fino al 1992 quando, a causa della guerra che colpisce la ex-Jugoslavia, è costretto a lasciare il proprio paese e arriva in Italia, prima a Udine e poi nel 1998 a Venezia, che diventa per lui una seconda patria, alla quale oggi “appartiene”, non solo come cittadino veneziano, ma come cittadino di nazionalità italiana.In Italia Zec si ritrova a dover ricostruire non solo la propria esistenza, ma anche la sua produzione. Lavora alacremente a nuove tele, a disegni e incisioni, tanto che già nel 1994 è pronto per la prima mostra in Italia, nella quale espone le sue nuove creazioni. Solo una decina di tele arrivate da una galleria tedesca si pongono a testimonianza della precedente attività di Zec. Nel corso del tempo espone in Italia, in Europa e negli Stati Uniti, vantando all’attivo oltre cento mostre. A partire dalla fine del conflitto nella ex Jugoslavia, Zec riprende a frequentare assiduamente la sua terra. Lo Studio-Collezione Zec, nel cuore di Sarajevo, è stato riaperto ed è divenuto un centro di iniziative culturali, oltre che sede espositiva delle sue opere.
Oggi Safet Zec vive e opera tra Venezia e Sarajevo.
olio su tela, 180 × 200 cm
tempera e collage su carta e tela,
120 × 160 cm
tempera, acrilico e collage su carta e tela, 220 × 330 cm
tempera e collage su carta e tela, 100 × 80 cm