Le regioni della memoria
di Andrea Carnevali
Risale al 2009 l’ultima grande mostra al Palazzo del cardinale Pallotta a Caldarola. In questi ambienti nobili, nel 2007, venne ospitata una grandiosa mostra dedicata al genius loci Simone de Magistris e poi, nel 2009, l’allestimento le “Stanze del Cardinale” con le tele di Reni, Guercino e Caravaggio, collezionate dal cardinale Giovanni Battista Pallotta. Oggi trovano spazio, nella stessa “dimora”, secondo due percorsi paralleli, le fotografie di Cutini ed i dipinti di Magiaterra.
Sotto il fregio decorativo della prima sala, realizzato da Evangelista Pallotta, sono esposti: un autoritratto di Cutini e una composizione di Mangiaterra le quali introducono la mostra e fanno emergere le diversità espressive dei due artisti.
Meta previlegiata
La mostra Le regioni della memoria, curata da Stefano Papetti, aperta fino al prossimo 4 ottobre, al Palazzo Pallotta, a Caldarola (Mc), è stata allestita in sezioni tematiche per creare un confronto tra l’arte del passato ed la modernità.
Il percorso di visita permette di vedere, attraverso la fotografia o la pittura, autentici capolavori di Roma barocca o della Grecia classica: temi artistici, rappresentazioni della vita sociale, speculazioni letterarie, indagini sul mondo antico, studio del corpo umano e del paesaggio sono tutti argomenti presenti nell’allestimento di Caldarola.
Nel catalogo della mostra le opere sono divise per tecniche artistiche e per ordine cronologico; e nello stesso volume, inoltre, sono stati pubblicati quattro testi di poeti marchigiani: E. De Signoribus, U. Piersanti, F. Scarabicchi e G. D’Elia.
L’ombra e l’oscurità nella fotografia
Cutini: si ispira alla pittura di Turner. La famosa piazza di Roma di fronte al Pantheon non viene riprodotta fotograficamente. Lo scatto trasforma il monumento in una maestosa rovina che testimonia la grandezza della città antica. Inoltre, il fotografo jesino evidenza solo una parte, per es, il basamento delle colonne. Con questi accorgimenti, e soprattutto con il contrasto delle luci e delle ombre, riesce quasi a farci percepire il tempo che passa.
Ciò fa pensare che il suo lavoro sia stato influenzato dal cinema, dalla fotografia scientifica e dalla realizzazione di filmati (nell’ambito della sua attività professionale di chirurgo).
Dice Stefano Papetti nel catalogo della mostra: “Cutini ha più volte rimarcato il suo dissociarsi culturalmente dalla fotografia documentaristica, di narrazione sociale, di reportage, generi che egli rispetta e ribadisce continuamente il suo interesse al nulla, al vuoto che è contrario del tutto e del pieno, la sua propensione a fotografare le ombre e l’oscurità, dove però anche la luce ha il suo ruolo e consente di definire i segni, i corpi delle cose”.
In comune
Ci sono molti elementi che legano l’arte concettuale di Cutini alla pittura verbovisiva di Mangiaterra.
La poesia leopardiana può considerarsi un punto di incontro tra i due artisti: l’armonia della parola si fonde con il linguaggio delle immagini. Nella ricerca di emozioni e di suggestioni di carattere assolutamente individuale – pensiamo soprattutto il rapporto tra Bruno Mangiaterra e i poeti marchigiani – o da generali ripetizioni di un motivo – l’architettura classica e neoclassica per Cutini – si trova il rifiuto dello stato di natura che viene sostituito da un atteggiamento razionale, come degno dell’uomo, di fronte al “male di vivere”.
I versi di alcune poesie riportati sui quadri di Bruno Mangiaterra oppure i ritratti fotografici di scrittori italiani di Giorgio Cutini accomunano le due esperienze. La società odierna tende, ormai, a trasformarsi ed a modificarsi, anche, nel linguaggio di pura sensibilità.
Alla scoperta della città
C’è, inoltre, in questa mostra un richiamo alla narrativa di Italo Calvino. Infatti, si può vedere esposto a Palazzo Pallotta un polittico composto da sei foto, Omaggio a Italo Calvino, dal titolo “Le città di Jokut”, (cm 20 x 30, 2010), ispirato a “Le città invisibili”. In questa opera, la condizione umana appare come immobile: le persone, purtroppo, ogni giorno portano il loro “carico di spazzatura [e] nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano” (Le città invisibili).
All’ urgenza di esternare le emozioni, Cutini unisce l’esigenza interiore di musicalità delle parole. Va da sé un linguaggio surreale e cristallizzato che forma uno stile quasi “commerciale”. Le immagini “Il viale delle idee” (cm 40×60, 1995) e “Il Canto degli inermi” (6 foto cm 40 x 60, 2005) sono surreali.
Le immagini sono sfocate e la tecnica fotografica ha trovato una risoluzione originale, per superare la dicotomia antica e moderna, che gli ha consentito di raggiungere uno stile personale: foto in bianco e nero, forme sfocate e vibranti e linee crude. Una sorta di dizionario tecnico che crea delle koinài ibride che trasmettono delle sensazioni di pericolo. Va da sé, a volte, un messaggio rigido e ripetitivo come in “Ombra del vento” (Ombra del vento cm 50×70,2003) oppure musicale e malinconico come in “Vibrazione melodica” (cm 50×70, 2006).
Uno stile nobile
Mangiaterra trae, invece, ispirazione dagli oggetti che lo circondano: sedie, tavoli e busti sono i soggetti dei suoi quadri. Essi lasciano vuota una parte della superficie pittorica che viene ricoperta da macchie di colore.
Nelle opere del pittore loretano si scopre, anche, il mito personale e le nuove tendenze culturali. E questi due temi si trovano nel quadro, ispirato a Pier Paolo Pasolini, “Uccellacci Uccellini” (cm 160×200, 2003) che vuole rappresentare una sorta di favola del mondo. Pensando all’Expo 2015 di Milano, il quadro, ispirato al film pasoliniano, assume significati nuovi: la povertà e la fame del Terzo Mondo, la nostalgia del primitivo, la crisi del pensiero politico e della società. Le opere riescono sempre ad avere un iter narrativo coerente che testimonia una passione immensa per l’arte.
La luce sulla tela, quasi in controluce, è un lontano ricordo del chiarore mattutino del Catria. Mangiaterra ha incontrato tanti intellettuali durante gli anni di formazione all’Accademia di Belle Arti nella Urbino. E il ricordo della città e degli ambienti culturali feltreschi è sempre presente nel suo immaginario.
Il pittore sente, inoltre, nella propria interiorità il richiamo dei versi di Umberto Piersanti: usa delle parole dei testi poetici per creare con il colore una commistione di linguaggi. Così fa anche con i versi parole di Paolo Volponi in “Vaso con versi”, (cm 180×160, 2006) che compaiono in una delle sue tele.
Ritrovo privilegiato
Le serie di ritratti sia in fotografia che in pittura dei poeti marchigiani sono un esempio dell’influenza che la poesia e la letteratura hanno esercitato nella loro produzione artista. Basti ripercorre con un occhio critico, intero allestimento, e ci si accorge che molte opere sono dedicate agli scrittori moderni e contemporanei italiani.