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Real Art #4

⏰ lettura 10 min.

Torna la pubblicazione-portfolio d’arte a carattere benefico con opere uniche ed autografe di 13 artisti contemporanei


REAL ART, progetto artistico, nato con l’idea di realizzare annualmente una pubblicazione-portfolio ritorna dopo il successo della delle prime tre edizioni, all’interno opere uniche ed autografe di artisti contemporanei e l’intero incasso, come sempre, devoluto in beneficienza.

REAL ART #4 (edizione limitata a 130 copie di cui 100 destinate alla diffusione) presenta i lavori di:

Jonathan Guaitamacchi
Antonio Pecchini
Carlo Buzzi
Ugo La Pietra
Peter Hide 311065
Dario Brevi
Franco Mazzucchelli
Azelio Corni
Riccardo Gusmaroli
Isabella Rigamonti
Barbara Colombo
Sea Creative
Vittorio Valente

Il ricavato, ogni anno, andrà a sostenere un’associazione che opera senza fine di lucro. Quest’anno il contributo verrà devoluto alla “MENSA DEI POVERI PANE DI SANT’ANTONIO – Casa della carità Onlus” di via Marzorati 5/a, Varese, che fornisce, tramite donazioni e volontari, più di 2.500 pasti annuali a famiglie in momentaneo stato di bisogno.

Ciascun artista è presente nel volume con una doppia pagina: un’opera stampata ed una originale applicata, una sorta di piccolo museo su carta, che invita ad un rapporto anche tattile con il prodotto artistico.

REAL ART sarà disponibile nelle migliori librerie di Varese e provincia, nei bookshop del Museo MA*GA di Gallarate, Museo Bodini di Gemonio, Museo Parisi Valle di Maccagno con Pino e Veddasca, Spazio Casa Museo E. Tadini di Milano, Galleria Biancoscuro di Pavia, Galleria Cart 70-10 di Monza, Galleria Viol@rte di Galliate (NO), Meeting Art di Vercelli, Showcases Gallery di Varese.

Una lunga rassegna tra le istituzioni coinvolte presenterà in fasi alterne il solo volume e/o il volume e le opere degli artisti coinvolti con importanti mostre e rassegne dall’inizio del 2019.

Scrive Lara Treppiede (Direttrice museo Bodini – Gemonio) nella presentazione del volume:

“Nuovi volti e nuove opere sono protagonisti con il passare degli anni del progetto Real Art. Un impegno e un disegno culturale diventato da quattro anni un appuntamento nella programmazione espositiva del Museo Civico Floriano Bodini di Gemonio e che mi sento di appoggiare e valorizzare in qualità di Direttore, in linea di continuità con Sara Bodini. Un’idea di progetto che condivido per il legame personale e artistico con i protagonisti coinvolti, con l’entusiasmo per la conoscenza di nuove personalità e per ricordare con il cuore Ginetto Piatti, sostenitore fin dall’inizio dell’iniziativa. Una mostra con uno sguardo aperto a forme artistiche differenti, per natura e origine geografica, con un valore aggiunto in cui credo fortemente: il ricavato del catalogo-porfolio è devoluto a una realtà sociale bisognosa del nostro territorio. L’arte seppur essa stessa desiderosa di sostegni, funge, con la sua forza da tramite a situazioni quotidiane in difficoltà. Motivo che mi spinge ancor più a complimentarmi con Franco Crugnola, Peter Hide 311065 per il mondo artistico e Isabella Rigamonti, autori e sostenitori di Real Art.

A nome del Museo Civico Floriano Bodini, in qualità di prima sede espositiva di Real Art #4, auguro una buona riuscita a questa edizione e un invito a proseguire con la stessa passione, tenacia e condivisione che hanno contraddistinto il progetto in questi anni.”


INFO
Gli artisti del progetto REAL ART#4
a Gemonio dal 2 al 25 febbraio 2019

Museo Civico Floriano Bodini
Via Marsala, 11
21036 Gemonio (VA)
Tel. 0332 604276

INGRESSO OMAGGIO PER IL VERNISSAGE
LIBRO/CATALOGO AL BOOKSHOP
Vernissage sabato 2 febbraio ore 16,00

A cura di:
Showcases Gallery
via San Martino 11
21100 Varese
Tel 338.2303595



BIOGRAFIE DEI 13 ARTISTI CHE PARTECIPANO E HANNO DONATO LE LORO OPERE A REAL ART #4-2018

Dario Brevi
Nato a Limbiate in provincia di Milano, nel 1955 dove vive e lavora. Si è diplomato nel 1973 al liceo artistico di Brera e si è laureato in Architettura nel 1978 al Politecnico di Milano.  Ha fatto parte, negli anni 80, del movimento artistico “Nuovo Futurismo”, formatosi presso la galleria Diagramma/Luciano Inga-Pin di Milano e teorizzato dal critico bolognese Renato Barilli. Movimento caratterizzato per un ritorno deciso al “fare arte”, cioè, in contrasto con le premesse dell’arte concettuale, a una idea dell’arte che punti alla realizzazione di “oggetti artistici” utilizzando particolarmente materiali di derivazione industriale. Per Brevi il materiale di elezione è il medium density, utilizzato nell’industria del mobile, con il quale realizza opere tridimensionali giocate con ironia tra pittura e scultura in linea con la tendenza alla contaminazione di immagini presente nella realtà dei mass-media. Nascono così dalle complesse sovrapposizioni di strati lignei e colori, forme e immagini di una memoria storica. Le immagini di Brevi ”futuristicamente” sviluppano un vorticoso movimento in un concetto di “eterno ritorno”  e sfruttano precari  equilibri  di pieni e vuoti, di luci ed ombre, nel perenne bilanciamento di contemplazione e di forza vitale.
Ha tenuto mostre personali e collettive in Italia ed all’estero in gallerie private, spazi pubblici e musei. Del suo lavoro si sono occupati numerosi critici d’arte con saggi e scritti pubblicati sui maggiori quotidiani e periodici di settore e non, italiani e stranieri
 
Carlo Alberto Buzzi
Carlo Alberto Buzzi è un artista italiano, conosciuto per i suoi interventi di “public art” nel contesto urbano.
Carlo Buzzi si serve degli strumenti propri della comunicazione pubblicitaria. Opera interventi che coinvolgono il contesto urbano. Normalmente utilizza il comune poster tipografico. Un significativo numero di manifesti viene esposto in pubblica affissione. L’operazione è documentata fotograficamente. Il lavoro sarà in seguito formalizzato grazie alla produzione di un numero limitato di “quadri” (riproduzioni fotografiche, manifesti “strappati”).
Carlo Buzzi ha realizzato la prima opera-operazione “pubblica” nel 1990 in collaborazione con il gallerista Luciano Inga-Pin di Milano. Si trattava di una pagina di pubblicità acquistata sulla rivista Flash Art. L’inserzione riproduceva centralmente un comune scopino da bagno, nella parte superiore la scritta “PICASSO”, nella parte inferiore la didascalia “orario 20-22”. Nel 1991 un soggetto simile fu esposto a Milano su manifesto tramite pubblica affissione, canale espressivo in seguito privilegiato dall’artista.
Costruzione formale (la simulazione di “finto evento”) e prassi (esposizione con tasse regolarmente pagate, mai abusiva) indicano l’intenzione di introdursi nel sistema della comunicazione pubblica in “punta di piedi”, contrapponendosi ad esperienze artistiche espresse nel medesimo contesto – contemporanee o appartenenti ad un recente passato – connotate da impronte ideologiche.
Dalla riproposizione del tema Picasso/scovolino/mostra d’arte artefatta, ad altri “provocatori” e improbabili incontri (Van Gogh con una grattugia), Buzzi esplora il dualismo arte/pubblicità in reali, e nello stesso tempo fittizie, campagne pubblicitarie.
Nel 1994 realizza un manifesto che lo riproduce semplicemente ritratto di schiena, il primo privo di alcun altro indizio.

Barbara Colombo
Barbara Colombo vive e lavora a Milano.
Il suo lavoro si caratterizza per l’esclusivo utilizzo di fogli di carte di riso. La delicatezza del foglio di carta si scontra con l’aggressività di mordenti, bitumi, colle, polveri di ferro, di marmo e pigmenti.
Uno strato dopo l’altro, una velatura dopo l’altra creano mondi sommersi dal fiorire di un unico colore, che annulla ed azzittisce i moti dell’anima.
 
Azelio Corni
Il lavoro di Corni si sottrae a facili estetismi e attua una grammatica segnica di linee verticali e orizzontali mediate dalla linea curva, che avvicina il mondo delle cose al mondo delle idee. Spesso questa operazione viene poi ricoperta da pigmento nero. Così nella produzione pittorica le grandi superfici cartacee diventano supporto ideale per le ampie stesure di colore nero. La superficie dipinta afferma una zona definita eliminando una lettura di rappresentazione tridimensionale, tale da accentuare una costante tensione spaziale data da una forma chiusa e il margine della rappresentazione. Le griglie, o meglio diagrammi, realizzati con carboncino nero vogliono evidenziare il segno grafico come origine dal movimento con cui la mano, impugnando uno strumento traccia, “segna” un supporto; da ciò si evince che la mano, lo strumento, il supporto-superficie svolgono anche autonomamente una precipua funzione linguistica, estetica e/o espressiva.
Il lavoro scultoreo e installativo assume una valenza principalmente artigianale in tutta la sua possibilità di essere cosa-costruzione-oggetto nella piena presenza materiale, che contatta e fa sua la realtà.
 
Jonathan Guaitamacchi
“La città che ho visto è la visione del mio insieme, traccia di un mio passaggio, del mio vissuto e del nostro misterioso destino.
Ho sorvolato luoghi e mondi credendo di volare libero ma ho visto salire il lamento degli esclusi.
A volte volo solitario aggrappato alla mia immaginazione e desidero solo contemplare il silenzio.
La città che ho visto è solo il luogo delle mie ripetute ossessioni.
Disegnare il vuoto è parte della mia inestricabile visione”.
Jonathan Guaitamacchi nato a Londra è stato uno dei tanti talenti scoperti da Luciano Inga Pin; diplomato all’Accademia di Brera a Milano, vive tra Milano Torino e Londra. Collabora negli anni della formazione come disegnatore per varie testate Nazionali e consulente artistico per diversi studi di architettura e design milanesi.
“Jonathan Guaitamacchi lavora sullo spazio, si addentra nella terza dimensione, la profondità, ed interpreta l’architettura come linguaggio, come ossessione, come ripetizione di un modo. Le sue tele, veri e propri progetti architettonici, raccontano la sua visione. In un’epoca in cui il paesaggio e le visioni urbane sono soggetti amati e ripresi da parecchi artisti contemporanei, Guaitamacchi fa la differenza. Tra i primi nell’epoca contemporanea ad affacciarsi al contesto urbano, sulla tela non rappresenta l’espressione totale o meramente architettonica della realtà, ne sprigiona l’essenza, il principio attivo, non racconta il luogo, ma il suo riflesso, la sua metafora attraverso il suo stile unico e inconfondibile”. (Francesca Brambilla)

Riccardo Gusmaroli
Riccardo Gusmaroli, nato a Verona nel 1963, vive e lavora a Milano.
Il lavoro di Riccardo Gusmaroli è una poesia visiva composta di delicati origami orientali come allegoria delle correnti oceaniche. La volontà dell'artista di capovolgere i parametri oggettivi di misurazione dello spazio, di immergere lo spettatore in una dimensione percettiva libera dai condizionamenti culturali, riattiva lo spazio della rappresentazione estetica con la ripetizione di moduli formali nati dal gesto semplice di ripiegare, ma in grado di creare situazioni visive di estrema delicatezza formale.
L'esplorazione umana di nuovi territori è idealmente rappresentata come un vagabondare ellittico e spiraliforme nei meandri dell'immaginazione e della psiche; le barchette di carta sono le metafore a sconfinare oltre la tela in una nuova dimensione energetica e vibrante.

Ugo La Pietra
Ugo La Pietra ha sviluppato dal 1962 un’attività tendente alla chiarificazione e definizione del rapporto “individuo-ambiente”. All’inizio di questo processo di lavoro ha realizzato strumenti di conoscenza (modelli di comprensione) tendenti a trasformare il tradizionale rapporto “opera-spettatore”. Ha operato dentro e fuori le discipline dichiarandosi sempre “ricercatore nelle arti visive”; artista anomalo e scomodo e quindi difficilmente classificabile.
Con le sue ricerche dal 1960 ha attraversato diverse correnti artistiche: arte segnica, arte concettuale, arte ambientale, arte nel sociale, narrative art, cinema d’artistanuova scrittura, extra media, neo-eclettismoarchitettura e design radicale. Ha comunicato e divulgato il suo pensiero e le sue esperienze attraverso un’intensa attività didattica ed editoriale. Si è fatto promotore di gruppi di ricerca (Gruppo del CenobioGruppo La Lepre Lunare, Global Tools, Cooperativa Maroncelli, Fabbrica di Comunicazione, Libero Laboratorio) e di attività espositive coinvolgendo un grandissimo numero di operatori (artisti, architetti, designer). Nel 1970 è invitato alla mostra sperimentale della XXXV Biennale di Venezia. Vince il prestigioso premio “Compasso d’oro” ADI nel 1979 e nel 2016 alla carriera.
 
Franco Mazzucchelli
Nato a Milano il 24 Gennaio 1939, si diploma nel 1963 in pittura e nel 1966 in scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, dove ha insegnato “Uso e tecnologia dei materiali sintetici” per 40 anni. Vive e lavora a Milano. Con il termine "Abbandoni", (1964-1970) si identificano le opere installate in luoghi aperti create e abbandonate al fine d’instaurare un nuovo rapporto con il paesaggio. Il ruolo sociale dell’opera si concretizza nella partecipazione attiva della gente: il pubblico non vede/ammira passivamente l’opera, sente l’esigenza di toccarla.
Con la sigla A.TO A.  (1970-1973), Art To Abandon /a toi, impressa nei suoi gonfiabili, Mazzucchelli continua il tema dell’“abbandono” in spazi urbani, una contaminazione tra opera d’arte e città, scrupolosamente documentata con foto e video.
L’esperienza dei gonfiabili prosegue con la "Sostituzione" del 1973. La natura artificiale dell’opera in film di polietilene, materializzata in gigantesche bolle, trasforma il regolare accesso alla Triennale di Milano, generando una nuova fruibilità.
Seguono le "Riappropriazioni", enormi canali di plastica trasparente ubicate in spazi aperti e gallerie private che dal 1975 al 1977, hanno allo scopo di offrire al pubblico una percezione dei luoghi diversa da quella consueta, inedita, dove la trasparenza del materiale gioca un ruolo importante nella lettura dello spazio che diventa etereo.
Dagli anni ottanta Mazzucchelli si occupa di una serie di Interventi a Milano, Monza e Brescia volti a sovrapporre l’opera (grandi membrane in pvc) a quella di alcuni monumenti del passato per dare un nuovo significato all’esistente e per produrre, nella stessa logica delle precedenti performances, fenomeni di interferenze cognitive.
In tutto questo intervallo di tempo, oltre all’installazione temporanee (azioni), Mazzucchelli si dedica sia alle molteplici mostre ed esposizioni prestigiose come La Biennale di Venezia del 1976, varie edizioni della Triennale di Milano, la Quadriennale di Roma e realizzazioni scenografiche sia alla conduzione della Cattedra di Tecniche della Scultura e di coordinatore del Dipartimento di Comunicazione Visiva Multimediale all’Accademia di Brera.
La sua ricerca continua nell’esposizione etichettate come “Personale-Personale”, dove le opere vengono abbandonate temporaneamente in mezzo al mare e in queste circostanze la forza del vento, la passione per la barca a vela e le proprietà del materiale plastico trovano un momento di dialogo.
Per la prima volta con “Bieca decorazione” Mazzucchelli si confronta con le gallerie, con un pubblico diverso da quello della strada. Un’esperienza che lo porta ad una produzione artistica più intima, dove geometria e colore formano uno stretto connubio, esaltando il fascino della materia plastica.
Questa esperienza matura recentemente nel 2015 con la le opere denominate REC, dove frammenti di vecchie istallazioni, riportanti il segno dell’uso, vengono incapsulate in bolle di trasparente pvc, rievocando la memoria in una nuova composizione. A questa produzione si aggiunge quella degli A. ON A.  (Art on Art) dove, a differenza dei REC, i frammenti recano segni e disegni eseguiti dal pubblico, impronte indelebili della partecipazione agli eventi artistici.
La sua ricerca prosegue nella logica della sperimentazione, alla scoperta di nuove percezioni della realtà, facendo affidamento alla complicità dei suoi inseparabili materiali: plastica e aria.
 
Antonio Maria Pecchini
Antonio Maria Pecchini nasce a Busto Arsizio nel 1947, dove ancora oggi vive e lavora.
Si diploma presso l’Accademia di Brera e nel 1974 inizia l’insegnamento di discipline plastiche presso il Liceo Artistico di Busto Arsizio.
Fin dal 1969 partecipa a rassegne collettive di carattere nazionale ed internazionale ricevendo molteplici riconoscimenti.
Alla fine degli anni Ottanta si fa promotore, insieme ad importanti critici d’arte, di un’aggregazione di artisti con i quali organizza varie mostre itineranti, mentre con un gruppo di artisti giapponesi, dal 1992, propone alcuni scambi culturali nei due territori dal titolo Senza Frontiere.
“Le opere di Antonio Pecchini racchiudono, con sintesi e raffinatezza di scelte formali, il suo sguardo sul mondo teso a cogliere i cambiamenti, le contraddizioni, i dolorosi accadimenti che ogni giorno ci colpiscono come, d’altra parte, i bagliori di bellezza, di armonia, di razionalità che ancora persistono nell’oggi, nonostante tutto.
L’artista si muove sempre partendo da una realtà personale vissuta e partecipata con competenza e vigile pensiero critico reso universale attraverso un’estetica riconoscibile costruita da rigore formale, dalla semplicità degli oggetti e dei materiali che costituiscono le opere e da una narrazione poetica...” (Emma Zanella)

Peter Hide 311065
Peter Hide 311065 (Franco Crugnola) nasce a Varese nella notte di Halloween del 1965.
Di sé scrive: “Ho scelto nel 2004 il nome d’arte Peter Hide 311065 (mi chiamo Franco Crugnola) derivandolo dall’ossimoro tra Peter Pan (noto sempiterno bambino buono) e mr. Hyde (la parte brutale e “cattiva” del dottor Jekyll). I due nomi hanno la stessa notorietà e rappresentano il primo il bene, l’innocenza, la purezza e la bellezza, il secondo il male, la cruenta e la forza bruta. Come nel romanzo di R. Stevenson ove la lotta impari che oppone il bene e il male tra Jekyll a Hyde, mette in gioco temi di grande suggestione, la metamorfosi e il doppio, lo specchio e il sosia, fino a toccare le corde più segrete e inconfessate dell'animo umano, cosi nei miei lavori cerco di ricreare il male che può prevaricarci attraverso un’immagine allegra e scanzonata.
Cerco di rappresentare attraverso immagini che fanno parte del nostro vivere quotidiano, ed apparentemente concilianti, gli opposti che esse stesse rappresentano e di aprire nella mente dello spettatore, che vorrà approfondirne la lettura, una porta immaginaria verso il pericolo della sopraffazione dell'effimero. In una società contemporanea, dove tutto è misurabile col e dal denaro e dove spesso si ha la sensazione che non solo il materiale ne sia soggiogato, ma anche l'immateriale, la parte più unica che contraddistingue l'individuo, il denaro, ha per me il valore simbolico di rappresentare il pericolo di una vasta decadenza culturale e per opposto il degrado che la sua mancanza ne produce. Non voglio rappresentare graficamente la povertà, la violenza fisica o psicologica, il degrado ambientale, ma neppure la bellezza generata solo ed unicamente dalla manipolazione della ricchezza, la sensazione di potenza quasi divina ed il sogno di felicità, ma voglio far riflettere su che cosa genera ciò per cui tutti noi ci affanniamo, viviamo e a volte moriamo: il denaro.”
 
Isabella Rigamonti
Isabella Rigamonti nasce nel 1969 e dopo gli studi artistici ed un esordio nel campo pittorico figurativo, inizia un percorso di sperimentazione artistica di natura percettiva informale con tecniche e materiali espressivi inconsueti, che la porta, nel tempo, ad avvicinarsi alla fotografia.
L’artista da anni utilizza un linguaggio artistico originale in cui la fotografia è contaminata con il collage e rivolge la sua attenzione ad alcuni temi specifici.
I suoi “luoghi non luoghi”, abitati da architetture e personaggi dove gli equilibri fra gli spazi mutevoli diventano, grazie all’intervento artistico, aree di relazione e di immaginazione sorprendenti, ed i “riflessi”, in cui l’artista indaga le infinite possibilità che l’architettura ha di essere specchio storico e sociale e generatrice di contesti urbani sempre nuovi.
Negli ultimi anni ha intensificato la sua presenza nel settore artistico partecipando a numerose mostre personali e collettive in gallerie private e spazi museali.
Diverse sue opere sono presenti in musei pubblici e collezioni private.
Nel 2017 è stata invitata ad esporre in Padiglione Tibet durante la 57° Biennale d’Arte di Venezia.

SEA Creative (Fabrizio Sarti)
Fabrizio Sarti nasce nel 1977 a Varese. 
Il suo percorso artistico comincia durante i primi anni novanta grazie all’incontro con il mondo del writing, iniziando a contaminare i muri delle città con il nickname Sea.
Grazie a questa passione e alla voglia irrefrenabile di disegnare intraprende gli studi artistici.
Verso gli anni 2000 la continua ricerca lo porta a distaccarsi dal mondo del writing e dalle sue regole, spingendosi verso un linguaggio diverso, un meltin pot di streetart, muralismo, performance e lavori su tela, dando cosi vita inconsapevolmente al progetto SeaCreative
Oggi Sea vive e lavora tra Milano e Varese, dove oltre ai circuiti espositivi convenzionali, realizza le sue opere sia in spazi urbani sia in aree industriali abbandonate dove il muralismo si allontana dalla strada, dai muri delle città, per fondersi invece con l’archeologia industriale, in quei luoghi pieni di storia, che emozionano solo ad entrarvi.  
 
Vittorio Valente
Ha iniziato l’attività artistica nel 1986 occupandosi del rapporto arte-scienza, spaziando tra cinematografia e letteratura. Supportato in questa ricerca dall’uso del silicone, ha sperimentato nell’arco di trent’ anni la duttilità di questo materiale, apparentemente statico, da cui ha ottenuto forme e pigmentazioni assolutamente nuove In chiave di ricerca sulla connessione e sulla trasmissione d’informazione vanno le “evocazioni” che realizza nel ’90 e nel ’91 con il gruppo “Arte come evocazione” curato da Miriam Cristaldi e guidato da Claudio Costa. Nel 1993 è tra i fondatori con Omar Ronda, Renzo Nucara, Marco Veronese, Alex Angi e Carlo Rizzetti del movimento CRACKING ART. Catalogo a cura di Tommaso Trini con testi di Luca Beatrice e Luigi Spina. Modella forme plastiche tridimensionali anche quando sceglie la tela come supporto trasformandola in altorilievi solo apparentemente duri e aguzzi. Le sue opere esigono un approccio multisensoriale; le superfici dermatiche non rifiutano di essere toccate. Unendo al materiale artificiale pigmenti ad olio ottiene nuove tonalità cromatiche che lo portano, soprattutto nelle opere più recenti, a soluzioni monocromatiche: rosso, giallo e gli assoluti bianco e nero. Negli ultimi lavori si orienta verso una maggiore sintesi, astrazione e ritmo.

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