Una grande monografica alla Fabbrica del Vapore a Milano
Con oltre 300 opere, per la maggior parte opere uniche, la grande mostra Andy Warhol La Pubblicità della forma che il 22 ottobre si è aperta alla Fabbrica del Vapore a Milano è un vero e proprio viaggio nell’universo artistico e umano di uno degli artisti che hanno maggiormente innovato la storia dell’arte mondiale. Un viaggio che muove dagli inizi negli anni Cinquanta che vedono Warhol illustratore commerciale sino all’ultimo decennio di attività negli anni Ottanta connotato dal suo rapporto con il sacro. Curata da Achille Bonito Oliva con Edoardo Falcioni, l’esposizione dedicata al padre della Pop Art americana è promossa e prodotta da Comune di Milano – Cultura e Navigare.
“Warhol – afferma Bonito Oliva – è il Raffaello della società di massa americana che dà superficie ad ogni profondità dell’immagine rendendola in tal modo immediatamente fruibile, pronta al consumo come ogni prodotto che affolla il nostro vivere quotidiano. In tal modo sviluppa un’inedita classicità nella sua trasformazione estetica. Così la pubblicità della forma crea l’epifania, cioè l’apparizione, dell’immagine”.
Dopo il successo della Mostra di Roma nel 2018 al Complesso del Vittoriano, Eugenio Falcioni, esperto di rilievo di Andy Warhol, collezionista e prestatore nella sua veste di responsabile di Art Motors, omaggia Milano producendo una grande esposizione con opere uniche, molte provenienti dall’Estate Andy Warhol, due di Keith Haring e di altre prestigiose collezioni private. “Dai disegni degli anni 50 alle icone Liz, Jackie, Marilyn, Mao, Flowers, Mick Jagger ai ritratti ed ai suoi progetti personali come il fashion – dichiara Falcioni – sono presenti tele, carte, sete, latte con le famose ed uniche Polaroid, per arrivare agli acetati unici che fanno parte della seconda fase del suo lavoro altrettanto importante”.
Andrew Warhola, classe 1928, originario di Pittsburgh, dopo la laurea nel 1949 si trasferisce a New York, trasforma il proprio nome di origine slovacca in Warhol e nei primi anni ’60 è un giovane pubblicitario di successo, che lavora per riviste come New Yorker, Vogue e Glamour. L’intuizione che lo renderà celebre e ricco è quella di ripetere una immagine più e più volte, in modo da farla entrare per sempre nella mente del pubblico. Thirty Are Better Than One, la sua prima Monna Lisa ripetuta ben trenta volte, da celebre ed esclusiva opera d’arte, viene trasformata in una opera di tutti e per tutti, trasformando il linguaggio della pubblicità in arte. La critica all’inizio stronca questi lavori, non comprendendone l’originalità né la volontà di Warhol di comunicare l’idea della ripetizione e dell’abbondanza del prodotto, in linea con la filosofia consumistica dell’epoca.
“Il vero colpo di genio attraverso cui l’artista riuscì a valorizzare definitivamente gli anni ’60 e le nuove forme di comunicazione di massa – leggiamo ancora nel testo di Falcioni – furono però le Brillo Box: si tratta di sculture identiche alle scatole di pagliette saponate Brillo in vendita nei supermercati. Saranno proprio queste opere a far scaturire in Arthur Danto, celebre filosofo ammaliato da queste creazioni, la sua concezione sulla filosofia dell’arte, che ruota attorno ad una domanda fondamentale: “che cos’è l’arte?”. Questo interrogativo lo porterà a ritenere queste scatole di legno delle vere e proprie opere d’arte, in forza della loro capacità di evocare e rappresentare alla perfezione un determinato contesto storico, in questo caso gli anni ‘60 assieme alle sue innumerevoli novità, di cui il pop artist può essere considerato senza dubbio il massimo interprete. L’evento che rese queste opere tra le più celebri dell’intera storia dell’arte fu la personale dell’artista presso la Stable Gallery di New York, tenutasi nel 1964: queste sculture furono disposte all’interno dello spazio espositivo tutte in fila e una sopra all’altra, proprio come se si trattasse di un supermercato piuttosto che di una galleria d’arte”. E’ visitando questa mostra che il celebre gallerista Leo Castelli, che all’inizio non comprendeva la genialità innovativa del lavoro di Warhol, si ricrede e arruola l’artista nella sua scuderia.
Da questo momento la carriera di Warhol ha una vera e propria deflagrazione.
Nasce la celebre The Factory, dove innumerevoli assistenti creano a ritmo frenetico le sue opere in serie: quadri, film, cover musicali, sculture, copertine di riviste e molto altro. E dove Warhol accoglie attori, musicisti, scrittori, tutto il mondo creativo newyorchese.
Nel frattempo è nata una nuova generazione di artisti come Basquiat, Haring, Scharf che considerano Warhol il loro padre spirituale: accogliendoli nella sua cerchia Warhol ne assorbisce dinamismo e creatività con la possibilità di rinnovarsi e restare al passo con i tempi.
La mostra milanese documenta questo avvincente percorso: dagli oggetti simboli del consumismo di massa, ai ritratti dello star system degli anni ’60; dalla serie Ladies & Gentlemen degli anni ’70 dedicata alle drag queen, i travestiti, simbolo di emarginazione per eccellenza e considerati alla pari di star come Marilyn, sino agli anni ’80 in cui diviene predominante il rapporto col sacro: cattolico praticante, ne era stato in realtà pervaso per tutta la vita.
Tele, serigrafie su seta, cotone e carta, oltre a disegni, fotografie, dischi originali, T-shirt, il computer Commodore Amiga 2000 con le sue illustrazioni digitali – i primi NFT della storia – , la BMW Art Car dipinta da Warhol nel 1979 con il video in cui la realizzò, la ricostruzione fedele della prima Factory e una sezione multimediale con proiezioni di film da vedere con gli occhialini tridimensionali. Tutto questo attende i visitatori della mostra, aperta fino al 26 marzo 2023, con un allestimento spettacolare negli spazi ex-industriali della Fabbrica del Vapore, che ben si addicono all’atmosfera creativa della Factory newyorkese di Warhol, artista ancora attualissimo e amato da un pubblico trasversale.
INFO
https://www.navigaresrl.com/mostra/andy-warhol
https://www.fabbricadelvapore.org/-/andy-warhol-la-pubblicita-della-forma
Le fotografie pubblicate sono di Giovanni Daniotti.