Finalmente, dopo l’edizione europea, Art Basel ritorna anche a Miami Beach, questa volta un’attesa di soli 24 mesi (27 quelli di attesa per Basilea). Dato il grande successo dell’edizione svizzera, le aspettative per questa si sono elevate ancora di più nonostante l’ormai costante problema sanitario che tiene l’economia globale sul filo del rasoio. É proprio per questo motivo “economico” che a Basilea, a settembre, è stato stanziato un fondo (ne parlo approfonditamente all’interno della rivista) per sopperire alle eventuali mancate vendite e coprire così le spese sostenute dal gallerista per partecipare. I costi per la partecipazione a questo evento mondiale non sono indifferenti (la metratura minima dello stand, il trasporto delle opere e relativa assicurazione, la progettazione dello stand e dell’allestimento, la cura durante la settimana di fiera, sono solo alcuni dei costi che bisogna sostenere), ma più della metà dei partecipanti ha rinunciato allo speciale fondo, a dimostrazione dello spirito di collettività e solidarietà tra galleristi.
Molti organizzatori fieristici italiani (ma anche francesi, tedeschi, austriaci e spagnoli) dovrebbero prendere spunto da quello che Art Basel fa in Svizzera, Stati Uniti e Hong Kong: sostenere e promuovere gli espositori, siano essi galleristi o editori, che svolgono un ruolo fondamentale nel mercato dell’arte, contribuendo a mantenere vivo e sano l’ecosistema artistico mondiale.
So di poter scatenare diverse polemiche con questo pensiero, e so benissimo che chi ha “le spalle coperte” può permettersi di coprirle a sua volta, ma c’è un’altra iniziativa lodevole di Art Basel (che potrebbe far chiunque): è aver introdotto un modello di tariffazione a scala mobile, in base al quale le gallerie con stand più piccoli pagano un prezzo al metro quadrato inferiore rispetto alle gallerie con stand più grandi.
Purtroppo da noi è il contrario e le grandi gallerie a volte pagano meno delle piccole gallerie, alcune sono avvantaggiate rispetto alle realtà più giovani e questo, a lungo andare, mina pesantemente le basi del sistema, che rischia di crollare. Il rischio è proprio quello della rottura di questo delicato equilibrio che permette a piccole gallerie sperimentali di fare ricerca e scouting di artisti emergenti, trovandosi a non poter più competere in un mercato fatto di (e per) dinosauri, e per “dinosauri” intendo meccanismi vecchi, grossi, lenti e ovviamente destinati all’estinzione.
Questa mia provocazione deve farci riflettere in maniera seria, d’altronde dicembre è il momento tipico per fare il bilancio dell’anno che volge al termine, per capire dove migliorare, per gioire dei traguardi raggiunti e per porsi nuovi obiettivi.
A voi quindi il mio augurio di un nuovo inizio, i migliori auguri di Buone Feste ed un magnifico 2022, e naturalmente…
buona lettura!
Vincenzo Chetta
Direttore
BIANCOSCURO Art Magazine