È probabile che, parlando di arte e videogiochi, la prima associazione fatta sia una provocazione. Dal momento che il concetto di arte si è esteso, inglobando mondi relativamente giovani come quello del cinema o del fumetto, è abbastanza naturale che in molti casi si vogliano considerare anche alcuni videogiochi come opere d’arte. Fare videogiochi, insomma, sarebbe un’arte: una posizione per molti divisiva, ma che merita di essere considerata seriamente.
I videogiochi hanno il grande vantaggio di poter contare su un’importante componente visiva, e le loro grafiche sono spesso oggetto di approfondimenti specializzati. Il fotorealismo è di per sé una forma d’arte, ma non mancano approcci artistici ben lontani dalla rappresentazione iperrealista. Basti pensare alla pixel art: le vecchie grafiche sgranate dei videogiochi, ben vive nel ricordo di tanti giocatori più attempati, sono ancora oggi estremamente attuali. Nonostante i balzi in avanti nelle rese grafiche garantiti dai progressi degli hardware, molti videogiochi guardano al passato proponendo comparti visivi che si rifanno alla storia del gaming. Il risultato è talmente apprezzato che la pixel art è persino uscita dal mondo videoludico, approdando in illustrazioni di street art, murales e altri esempi.
Sempre a proposito di stili visivi, spesso chi sviluppa videogiochi si ispira a riferimenti estremamente precisi, adottando elementi ben riconoscibili anche quando indipendenti da ragioni di trama. In questo caso protagonisti sono principalmente stili e tecniche di illustrazione, capaci di caratterizzare un videogioco in maniera estremamente caratteristica. Pensiamo per esempio all’approccio artistico dello stile visivo di Ori and the Blind Forest, distinto da sfondi che richiamano disegni fatti a mano. Ma anche agli acquerelli, che caratterizzano le rese grafiche di titoli amati come Child of Light oppure Gris, non a caso celebrati tra l’altro proprio per le loro componenti visuali. Merita una menzione Ico, avventura dinamica il cui design è stato curato da Fumito Ueda: gli sfondi del gioco si ispirano dichiaratamente ai lavori di Giorgio de Chirico, uno degli esponenti dell’arte contemporanea italiana più famosi nel mondo.
In molti casi quello su cui si concentrano i videogiochi è un misto tra culture e architetture, capace di riferirsi contemporaneamente a determinate strutture e al loro bagaglio culturale. Per fare un esempio, è estremamente comune trovare giochi nei quali le iconiche costruzioni precolombiane si accompagnano allo stile artistico associato al Dia de Los Muertos messicano: si tratta di un’associazione estremamente comune, tanto da comparire persino in numerose slot machine tra quelle presenti nell’affollata offerta dei casinò online. Lo stesso vale per giochi ispirati a civiltà antiche, per esempio quella egizia: oltre alle classiche architetture, dalle piramidi alle colossali statue, compaiono normalmente stili visivi che si rifanno alle decorazioni dorate e ai geroglifici tipici dell’arte e cultura egizia.
Gli esempi migliori dell’unione tra arte e videogiochi, comunque, sono quelli dove i videogiochi fanno direttamente riferimento a differenti forme d’arte. Prendiamo Devil May Cry, storica serie Capcom con innumerevoli riferimenti alla Divina Commedia. Il protagonista si chiama Dante, come Dante Alighieri, e ha un fratello di nome Vergil che gli fornisce indizi e suggerimenti, esattamente come Virgilio guida Dante nella Commedia.
L’inizio della serie, più in generale, è ricco di rimandi al capolavoro dell’autore fiorentino, e ne ripropone la struttura della discesa agli inferi con tanto di demoni, tra i quali lo stesso protagonista. La serie picchiaduro Street Fighter, nuovamente di Capcom, è sempre stata caratterizzata da ambientazioni urbane e stradali: il suo stile artistico si è evoluto richiamando graffiti e street art, che nelle animazioni si rifanno proprio alle opere degli artisti urbani. All’arte giapponese, e in particolare ai dipinti dello stile Ukiyo-e e Sumi-e, si rifà lo stile grafico di Okami, non a caso ambientato nel medioevo giapponese. Pentiment, gioco bidimensionale che segue la storia di un autore di miniature in un monastero tedesco, si caratterizza per uno stile grafico che si rifà alle illustrazioni tipiche dei volumi medievali.
Concludiamo, anche se si potrebbe continuare a lungo, con Apotheon, action adventure in due dimensioni che si svolge nell’antica Grecia: lo stile visivo in questo caso è quello tipico delle ceramiche elleniche, con figure di profilo caratterizzate da colori neri su sfondi rosso/marroni.