XI Comandamento: Non dimenticare, mostra antologica di Mustafa Sabbagh
fino al 17.07.2016 – ZAC Zisa Zona Arti Contemporanee, Palermo
“Una antologica che raccoglie una vita e promuove la vita”: queste le parole attraverso le quali il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando ha battezzato la mostra di Mustafa Sabbagh XI Comandamento: Non dimenticare, che si avvia alla conclusione con il conferimento della cittadinanza onoraria da parte del Sindaco a Sabbagh. Un’onorificenza che suggella un comune sentire nell’attenzione rivolta all’Uomo, le cui radici emotive gemmano tanto nell’arte di Sabbagh quanto nella capacità di accoglienza di una calda, viva Palermo.
Tuttavia, il termine “antologica” – per quanti hanno avuto e ancora avranno l’occasione di visitarla, e con buona pace di coloro i quali necessitano costantemente di una definizione – sembra quanto mai riduttivo. Più che un’antologica, XI comandamento è la collettiva di un unico artista, curata dall’artista stesso (“due schizofrenici devono necessariamente trovare un filo logico per poter comunicare, e non è quello che qui mi propongo”), in un hangar di oltre 2000 mq. L’atto di riflessione di uno schizofrenico che si rispecchia, nero Narciso, nel mare nero della società contemporanea, catalogandone fobie e psicosi ed accumulandole in una sinfonia distorta, come in una tavola di quel genio malato che fu Hieronymus Bosch. Una lettera d’amore scritta all’umanità nonostante, e a partire da, i suoi cortocircuiti.
Un’arte profondamente viva, quella di Sabbagh, raccolta ed esposta allo ZAC Zisa Zona Arti Contemporanee dopo le monografiche di Regina José Galindo, Hermann Nitsch e Letizia Battaglia, in quello che è stato definito “un poker d’assi” schierato dal Comune prima dell’avvento di Manifesta12, che nel 2018 farà di Palermo capitale mondiale dell’arte contemporanea. Un’arte frutto di una mente raffinatamente colta e contorta, nemica giurata dell’informazione di regime, non potendo dimenticare che il format-mostra non è altro che un artificio – per ciò stesso devitalizzato – escogitato a partire dal XVII secolo, figlio di un narcisismo figliastro di Narciso.
Ciò che si espone in mostra puzza spesso di antifermentativo, laddove – pulsando vita – XI comandamento lascia suprema libertà di cammino a quanti la esperiscono nella mente, nella pancia, sulla pelle. Una sorta di “esperimento memoriale” in definitiva, fondato sulla possibilità per ognuno di creare le proprie connessioni, la propria trama dissociata, rivolta ad una schizofrenia di metri di giudizio, uno per ciascuno dei singoli che costruisce il proprio autistico (dunque autentico) percorso.
Un sentito esempio della libertà di cammino che XI comandamento stimola è dato dalle parole di Piero Ristagno, fondatore del Teatro delle Diversità, che di recente ha visitato la mostra:
Il sangue nelle vene non scorre quieto, e non è rosso. La bellezza ferisce.
Nero nel Nero, Nero su Nero, dentro nel corpo.
Mi accosto di sbieco, di traverso, con sguardi che risuonano e rimbalzano, a cogliere l’ordine perentorio che l’architettura della mostra impone. Mi accosto di canto accanto al mare di notte. Sarà un trasalire di respiro del profondo mare, il moto e il suono dell’onda in superficie.
Pantaloni grandi di taglia e fattura indossati, in urgenza di eleganza, da acerbi corpi d’uomini. Forse così siamo tutti gli uomini/Ulisse, corpi che indossiamo il mondo, morti e nati di placenta in placenta, di Nero in Nero.
È invasione, la Vita. Anche nella forma oscura dell’Assenza.
(Whitman! Ahi, Whitman!)
È colpa del Minotauro essere nato Minotauro? Mostruosità divina. Figlio del dio capriccioso e distratto, gli confezionano il Labirinto abnorme. F. Dürrenmatt, il meglio informato, aggiunge che era un labirinto di specchi. Il resto è noto.
A Dürrenmatt bisogna, ora, aggiungere quella coppia in bianco, un uomo e una donna sopra un altare niveo, il bambino in braccio alla madre, il padre poco distante. Stanno seduti, lunghe le gambe; il bambino ha la testa di vitellino da latte, non ancora toro.
A distanza di settimane considero l’avere guardato un’invasione cercata, desiderata, ottenuta.
Perché può essere questo stare fermo, in bella mostra, l’azione che ferisce. Invade gli occhi e si annida nell’anima. Da lì in poi si può cantare, anche in silenzio.
La bellezza ferisce.
È spiraglio, finestra, porta, perché gli umani dicano “è rosso il sangue, è azzurro il cielo, sono verdi i tuoi occhi, fresca l’acqua”…
Conoscerti è stato un piacere. Un naturale invito alla festa del vivere.
Laddove ogni uomo è artefice della propria interpretazione di una storia che è già storia dell’arte, la potenza umana di XI comandamento risiede dunque nella capacità di innesco di altrettanti link filologici – uno per ogni visitatore – tra video e fotografia, tra suono e silenzio, tra un Parnaso popolato di dei tutt’altro che virtuosi (come per la video-installazione Anthro-pop-gonia), e un Mediterraneo sulla cui superficie affiora l’Agnus Dei (nella seconda, enorme, vasca facente parte dell’installazione concepita appositamente per Palermo 09.2015: 3944), così come nell’umano ripiegarsi nel proprio dolore di fronte a un’aspettativa disattesa in Das Unheimliche. Per non dimenticare, per creare nuova memoria, per non incorrere nel rischio, mortifero all’uomo, dell’oblio.
Come un bimbo che gioca con una matrioska in Cina, o con una scatola cinese in Russia, Sabbagh – nomade nell’imprinting e nell’esprit – racchiude nella sua mostra mille altre, estraendo ed innestando – come Dom Cobb in Inception[1] – il suo inconscio in quello altrui, flash schizoidi di bianco nella calma apparente del nero, liquido e solido, ossessione turbativa e reiterazione in loop, le sue allucinazioni passate in quelle contemporanee – strappandole, così, dalla paralisi del tempo criogenico della creazione per donare loro un nuovo senso, e per mettere sotto i riflettori le contraddizioni all’interno delle quali siamo tutti, volenti o nolenti, immersi fino al collo. Un cortocircuito vivo dei suoi stessi pluriformi inneschi caustici – non un atto contemplativo di resti, per quanto amabili. Un rizoma, come teorizzato da quell’altro genio folle che fu Gilles Deleuze.
Da Deleuze a Carmelo Bene, pochi ma indimenticati, illuminati Narcisi ci hanno insegnato che ci vuole un Narciso bambino, con la sua bellezza auto-innamorantesi, per riuscire a rendere arte la propria umana ossessione: il mito di Narciso presuppone, così, una reiterazione nel gesto. Lo sguardo scava ogni dettaglio, ogni volta di più, più intenso, più nitido – come una pupilla che si abitua all’oscurità e in essa comincia a distinguere i particolari, come il nostro occhio al cospetto di uno dei tableaux lividi di Sabbagh. La ripetizione definisce e pulisce, astraendo fino all’ideale del proprio stesso assillo: “non vi è grande artista, la cui opera non ci spinga a dire: Lo stesso, eppure altro[2]“. Ed è nella ripetizione di un corpo nero, di un mare nero, di una sigaretta che brucia, di una Vesperbild de-genere, che Mustafa Sabbagh, pur di non dimenticare, confessa la serialità del delitto attraverso la sua riconoscibilissima, efferata bellezza.
La bellezza di Sabbagh è nel brivido asfittico della vertigine; la storia dell’arte rivive nella sua arte – nell’estasi di una fetish Ludovica Albertoni, in un Cristo Velato che si ribella alla stasi della morte, in una sigaretta appena aspirata da San Sebastiano; nelle mutue e mute richieste di perdono che si rivolgono un Cristo in croce e un Giuda imbavagliato, di bombardamenti e respiri affannosi, nella video-installazione Chat Room; e ancora, nell’innocenza tinta di rosso sangue dei bambini di Candido, ed in quella trasportata a riva da un Mediterraneo che bagna Palermo, che è già Gange e Bermude, degli uomini ancora glabri di Made in Italy© – Handle with care.
E in ogni bimbo, in ogni satiro, in ognuna delle installazioni a ZAC che ripercorrono la storia della sua arte, in ognuno dei suoi santi di carne e catrame si cela Sabbagh, Narciso schizofrenico nell’atto supremo della moltiplicazione di sé, schiavo della sua mente in costante anelito progettuale, devoto ad una pelle infetta di vita.
In un monito laico, tutta l’umanità dell’arte.
XI COMANDAMENTO: NON DIMENTICARE mostra antologica di MUSTAFA SABBAGH DAL 21 MAGGIO AL 17 LUGLIO 2016 ZAC Zisa Zona Arti Contemporanee Cantieri Culturali alla Zisa, via Paolo Gili, 4, Palermo dal martedì alla domenica, dalle 9.30 alle 18.30 telefono: 091 8431605 | email: museispaziespositivi@comune.palermo.it ufficio stampa: press@mustafasabbagh.com libro d’autore: Mustafa Sabbagh. XI comandamento: non dimenticare edizione limitata in 601 copie + 40 collector’s edition con opera inedita firmata, in tiratura esclusiva di 40 copertina rigida, 344 pp., 173 illustrazioni, codice isbn #978 88 98120 86 4 realizzazione: Tipografia Altedo | progetto grafico: Aspirine.co.uk casa editrice: Danilo Montanari Editore coordinamento editoriale: Fabiola Triolo testi critici di [in ordine alfabetico]: Marcello Carriero, Andrea Cusumano, Marina Dacci, Fabio De Chirico, Antonio Mancinelli, Leoluca Orlando, Giulia Pedace, Antonella Purpura, Davide Sarchioni, Fabiola Triolo, Peter Weiermair www.xicomandamento.com mostra realizzata con il supporto e la collaborazione di: Comune di Palermo - Assessorato alla Cultura | Dirigenza Area Musei e Spazi Espositivi del Comune di Palermo | Centro Studi Storici e Umanistici della Città del Sole [Cosenza] | FPAC Francesco Pantaleone Arte Contemporanea [Palermo] | Rizzuto Gallery [Palermo] | Accademia di Belle Arti di Palermo | Kontatto [Bologna] | Tipografia Altedo [Bologna] | One of Those – tracks for humans [Parma] | RPH – Rufus Photo Hub [Brescia] | Eurocompany [Faenza] | Aspirine graphic studio [Ferrara]