Giuseppe Damiani, detto Oscar, da calciatore era invece soprannominato Flipper per le sue movenze rapide ed intelligenti. È stato attaccante di Milan, Inter, Napoli, Lazio, Genoa, Parma e Vicenza; ha segnato 71 reti in Serie A e 30 in Serie B, vincendo uno scudetto con la Juventus (nel ‘74-’75) ed il titolo di capocannoniere di Serie B (78-’79). Dopo il ritiro, Damiani ha intrapreso la carriera di procuratore sportivo, ma ha anche portato avanti un’altra sua passione: quella per l’arte. Recentemente Chimera Editore ha pubblicato il suo volume “L’arte nel pallone”, a cura di Angela Faravelli, che nasce dalla volontà di raccontare e condividere la sua storia utilizzando come chiave di lettura le due grandi passioni che hanno caratterizzato e percorso tutta la sua vita. Abbiamo avuto il piacere di conoscerlo e fargli qualche domanda.
Vincenzo Chetta: Buongiorno Oscar, benvenuto sulle pagine di BIANCOSCURO. Ci racconti, come è nata la sua passione per il collezionismo?
Oscar Damiani: Il mio primo approccio con il mondo dell’arte è avvenuto quando ero piuttosto giovane, era il 1969 e avevo 19 anni, mi ero da poco trasferito a Vicenza per iniziare finalmente a giocare in una squadra di Serie A, dopo l’esperienza biennale nei ragazzi dell’Inter a Milano. Tutto è stato tanto naturale quanto casuale: dopo le sessioni di allenamento, durante il resto della giornata, noi calciatori avevamo molto tempo libero, facevamo dei giri nel centro della città e sono stato subito incuriosito, quasi catturato, dalle vetrine delle gallerie d’arte moderna e contemporanea. Non avevo nessuna cultura in materia ma la passione mi guidava, è avvenuto tutto in maniera molto disinvolta e in poco tempo ho iniziato a frequentare questo ambiente e ad avere amici con i quali confrontarmi e discutere su ciò che osservavo nelle esposizioni temporanee di cui aspettavo con impazienza il vernissage.
V.C.: Come potrebbe collocare il suo essere collezionista? “Freddo investimento” o “puro amore per l’arte” ?
O.D.: Non ho mai comprato un’opera pensando di poterla rivendere. Il 90% delle opere che ho acquistato negli anni ad oggi le possiedo ancora quasi tutte.
Dunque la mia è una collezione fatta con il cuore: per comprare un’opera per me è necessario avere un colpo di fulmine immediato, è una questione energetica dove, a partire dalla vista, si attivano tutti gli altri sensi, fino a provocare in me un’emozione unica.
V.C.: Una peculiarità della sua Collezione è quella di essere declinata al colore rosso, come mai colleziona solo opere di questo colore?
O.D.: Senza averne pienamente coscienza, un giorno mi sono accorto di aver dato corpo ad una raccolta di opere prevalentemente rosse, una palette ricca di tonalità e sfumature diverse in cui il colore poteva essere evocato nella sua totalità o solamente da un dettaglio oppure, ancora, nel titolo. Una “sinfonia in rosso” che silenziosamente aveva preso piede nella mia vita. Avevo collezionato da monocromi (come i quadri di Rodolfo Aricò e Antonio Scaccabarozzi) dove il colore rosso appare in tutta la sua evidenza, a lavori più concettuali (due esempi emblematici sono i neon di Joseph Kosuth e Maurizio Nannucci) in cui il riferimento oltre che visivo è anche semantico, da forme in cui prevale la matericità del pigmento (evidenza sviluppata in maniera diversa da Pino Pinelli e Jason Martin) che conferisce enfasi all’essenza della sostanza, ad altre in cui lo sguardo può sperimentare le infinite potenzialità dell’aspetto ottico-cinetico (caratteristica comune dei fondatori del Gruppo N di Padova Alberto Biasi e Toni Costa) perdendosi letteralmente nelle pieghe dell’opera.
V.C.: So che tra i suoi autori più amati figura anche Anselm Kiefer, (di cui però l’opera che possiede, non è rossa), ce ne può parlare?
O.D.: Nel 2006 la gallerista Lia Rumma mi aveva invitato al vernissage partenopeo della personale dell’artista tedesco, “Odi navali”; una volta entrato nella galleria sono stato travolto dalla grandezza sia dimensionale che narrativa delle opere: vi erano un’infinità di riferimenti, citazioni e rimandi, evocati da molteplici media artistici, ogni opera custodiva un racconto e ogni racconto, nell’insieme della mostra, dava vita ad una storia tanto poetica quanto riflessiva. Rimasi folgorato ed ebbi anche l’occasione e l’onore di poter conoscere personalmente e conversare, grazie al mio francese, con Anselm Kiefer.
Avevo ormai la consapevolezza che sarebbe stato per me inevitabile desiderare di avere un’opera di questo artista di cui poter ammirare la potenza ogni giorno, era diventata un’esigenza interiore, un tarlo che non mi avrebbe lasciato pace. Come diceva il mio omonimo Oscar Wilde “L’unico modo per liberarsi da una tentazione è cedervi”. Così un anno dopo, in seguito a numerose riflessioni e chiacchierate con la gallerista e amica Lia, mi decisi ed acquistai “Himmel Auf Erden” (1998) che letteralmente significa “il paradiso in terra”, ma concettualmente vi è il riferimento allo sterminio degli ebrei, ai campi di concentramento e alla durezza e aridità d’animo che hanno caratterizzato il genere umano per un certo periodo storico. Ciò che questo lavoro rappresenta e richiama alla mente ed il titolo che gli è stato attribuito, costituiscono due estremi in conflitto, si tratta di un ossimoro, una contraddizione, ed è proprio per questo motivo che ha catturato la mia curiosità ed infine l’ho scelto tra le altre opere.
V.C.: Nella sua Collezione vi è anche un Fontana, come si è avvicinato alla sua arte, è il pezzo più pregiato?
O.D.: L’opera che preferisco della mia collezione è una tela monocroma di Lucio Fontana appartenente alla serie “Concetto spaziale. Attese” la cui superficie è interrotta da tre tagli verticali netti e decisi. Ho desiderato tanto possedere questo pezzo, fa parte delle mie fantasie… Ritengo sia un’opera “viva” e aggressiva nel suo entrare in rapporto diretto con lo spazio e la luce reali. In fondo si può pensare a qualunque cosa con quei tagli!
V.C.: Nella sua Collezione sono già presenti anche giovani Artisti contemporanei?
O.D.: Seguo con interesse il lavoro dei giovani artisti e nella mia collezione ho diverse opere: dal neon “Bla bla bla” di Fabrizio Dusi al pallone fatto con il chewing gum di Maurizio Savini, dalle matite di Paola Pezzi ad un mappamondo di Francesco De Molfetta, al flipper meccanico di Giuseppe Stampone. Quest’ultimo ha realizzato appositamente per me tante opere che ritengo bellissime ed emozionanti, è giovane ed ha molte potenzialità, oltre a possedere una tecnica ed una manualità fuori dal comune; grazie a lui ho rivalutato molto l’arte figurativa, anche se in realtà la sua poetica è colma di rimandi e significati nascosti, dunque è anche molto concettuale.
V.C.: Nel suo recente volume “L’arte nel pallone”, come si sviluppano i due racconti paralleli del mondo del calcio e del mondo dell’arte?
O.D.: Si tratta di due racconti che si sviluppano in parallelo, divisi in sette capitoli proprio come il numero della maglia che ho sempre indossato in tutte le squadre in cui ho giocato; uno narra in maniera cronologicamente ordinata la mia carriera legata al calcio, prima da giocatore e poi da procuratore, che appartiene ad una sfera di “dominio pubblico”, mentre l’altro svela un lato più personale e privato in quanto offro alla collettività il frutto più prelibato delle mie ossessioni: la mia collezione d’arte.
La sezione relativa al calcio è stata curata da Alberto Cerruti ed esplora il mio percorso attraverso episodi ironici ed esilaranti a partire dagli esordi nel 1968, per poi addentrarsi con successo nel nucleo storico dei procuratori.
La sezione relativa al mondo dell’arte è stata curata da Angela Faravelli, che ha catalogato oltre 100 opere d’arte che compongono la mia collezione, di cui al termine del volume compaiono dettagliate schede tecniche, abbinando gli oltre 80 artisti menzionati alle vicende vissute che ho vissuto nell’arco di tutta la mia vita da calciatore-collezionista.
V.C.: Da appassionato non posso esimermi: qual’è stato il suo gol più bello?
O.D.: Nell’estate del 1974 giocavo nella Juventus e l’allenatore Carlo Parola, per farmi giocare all’ala destra, aveva spostato Franco Causio al centro e la mossa funzionò meravigliosamente per tutti e due. All’ultima giornata, a Torino, nella partita decisiva proprio contro il mio vecchio Vicenza, vincemmo 5-0 e io segnai una doppietta. Questo è stato il mio primo e unico scudetto e quei due gol, quindi, sono quelli ai quali sono rimasto più affezionato, ripensando al significato della partita. In assoluto, però, il gol più importante l’ho realizzato l’anno dopo negli ottavi di Coppa Uefa contro l’Ajax a Torino, con un colpo di testa su calcio d’angolo che, quella volta, fu il gol decisivo per la vittoria. Fu un grande successo e per me una consacrazione a livello internazionale, perché il giorno successivo La Gazzetta dello Sport scrisse che il calcio italiano aveva trovato la migliore ala destra dopo il mitico brasiliano Manoel Francisco dos Santos, meglio noto come Garrincha, esagerando forse un pochino.
V.C.: Grazie Oscar per aver risposto a tutte le nostre domande, è stato un grande piacere conoscerla.
O.D.: Grazie a Lei Vincenzo, per me è sempre un piacere poter parlare di arte!