Ottobre 2014 – Marzo 2015: cinque mesi che ci regalano la mostra dell’anno, forse perchè segnata anche dagli ultimi avvenimenti terroristici in Francia. L’arte è pensiero e lavoro positivo, che raggruppa gli artisti di tutto il mondo, che con l’arte stessa cercano di raccontare o raccontarsi, ed è proprio la mostra Klein-Fontana una riflessione sulla cultura europea, affiancando il percorso di due grandi personalità del mondo artistico del secolo scorso. Lucio Fontana e Yves Klein raccontati attraverso le loro opere, in un percorso parallelo che evidenzia la loro differenza culturale, ma anche la grande voglia di collaborare o confrontarsi. Klein caratterizza la sua arte attraverso il blu da lui brevettato e Fontana squarcia la tela quasi fosse un taglio alla monotonia della pittura, lo stesso Fontana dichiarò: “Il buco è l’inizio di una scultura nello spazio. I miei non sono quadri, sono concetti d’arte.” Ecco qui la potenza di un pensiero artistico libero ed innovativo, che cambiava il modo di fare arte. Le opere dei due artisti si incontrano nella sala Fontana del Museo del Novecento di Milano, mentre nella vita reale i due artisti si conobbero nel gennaio 1957, quando Klein tenne la prima personale di monocromi blu alla Galleria Apollinaire di Milano con una presentazione di Pierre Restany, che riscontrò il consenso di pochi, tra i quali Dino Buzzati e Lucio Fontana che fu uno dei primi acquirenti di un monocromo dell’artista francese, per poi diventare nei primi anni Sessanta uno dei suoi più importanti collezionisti in Italia.
La mostra “Klein Fontana. Milano Parigi 1957-1962” raggruppa 90 opere unitamente a materiale documentario e fotografie dell’epoca.
Il tutto è una lettura del rapporto tra i due artisti, l’arte e loro stessi sottolineandone l’autonomia creativa di ciascuno. Oltre alle varie sale allestite per mostre temporanee, sono state modificate anche le sale fontaniane adeguandole e riformulandole per fare in modo che entrambi gli artisti, in questo viaggio, abbiano un adeguato spazio dedicato.
Ma chi sono questi due maestri da riscoprire?
Lucio Fontana nasce a Rosario di Santa Fé, in Argentina, il 19 febbraio 1899 da genitori di origine italiana. Il padre Luigi, scultore, è in Argentina da una decina d’anni e la madre, Lucia Bottino, è attrice di teatro. Dall’età scolare, Lucio viene mandato in Italia per gli studi ed affidato allo zio di Castiglione Olona, in provincia di Varese. Frequenta il collegio Torquato Tasso di Biumo Inferiore e prosegue con la scuola tecnica del Collegio Arcivescovile Ballerini, a Seregno. Inizia così l’apprendistato dell’artista, cominciando con la pratica nello studio del padre scultore (rientrato nel frattempo in Italia) e studiando, contemporaneamente, presso la Scuola dei maestri edili dell’Istituto Tecnico “Carlo Cattaneo” di Milano. Dall’inizio degli anni Sessanta, Fontana si concentra con particolare impegno sulla serie degli “Olii”, opere su tela dove lo spesso strato di materia pittorica è attraversato da buchi o lacerazioni. A questa serie appartengono le opere dedicate a una rievocazione della città di Venezia, esposte alla sua prima mostra personale statunitense alla Martha Jackson Gallery di New York (1961).
Nello stesso anno, ispirato dalla metropoli newyorkese, concepisce anche una nuova tipologia di lavori: i “Metalli”, lamiere specchianti su cui interviene squarciando e tagliando la superficie. Alla sua inarrestabile vena inventiva corrispondono le molteplici mostre a lui dedicate a Milano, Venezia, Tokyo, Londra, Bruxelles. Sul fronte del rinnovamento iconografico, sono testimonianze significative la serie delle “Fine di Dio” (1963-1964) , tutte tele di forma ovale, monocrome o cosparse di lustrini, attraversate da buchi e lacerazioni, esposte prima alla Galleria dell’Ariete a Milano e in seguito alla galleria Iris Clert di Parigi. Da qui Fontana mette alla prova la sua creatività con la serie dei “Teatrini” (1964-1966), lavori in cui le cornici di legno laccato sono sagomate e compongono forme differenziate. Il 1966 è l’anno di importanti successi internazionali: vengono allestite sue mostre personali a Minneapolis, New York e Parigi.
Di particolare spicco in Italia è la sala che gli viene dedicata alla XXXIII edizione della Biennale di Venezia, dove collabora con l’Architetto Carlo Scarpa, creando un ambiente ovale labirintico illuminato da una luce bianca e percorso da tele bianche attraversate da un unico taglio: opera dall’eco straordinario che vince il premio della Biennale. Il 1967 vede il culmine del rigoroso monocromatismo, e la tendenza a lacerare le tele utilizzando segni sempre più regolari ed essenziali con la serie delle “Ellissi”: tavole ellittiche di legno laccato variamente colorate e attraversate da buchi eseguiti a macchina, in linea con le nuove conquiste della tecnica. All’inizio del 1968 Lucio Fontana lascia il suo studio di Corso Monforte e si trasferisce a Comabbio. Morirà a Varese il 7 settembre dello stesso anno.
Con una vita meno vissuta, ma non meno carica di emozioni, troviamo Yves Klein .
L’artista nacque a Nizza da Fred Klein e Marie Raymond, entrambi pittori. Dal 1942 al 1946, Klein frequentò l’ “Ecole Nationale de la Marine Marchande” e la “Ecole Nationale des Langues Orientales”.
Molte delle sue prime opere furono dipinti monocromi, in diversi colori. Realizzò più di mille tavole in sette anni. Il suo intento era quello di utilizzare i singoli pigmenti puri, in modo che il colore non perdesse la luminosità una volta unito ad un legante. Non era solo una questione estetica, ma anche un fatto concettuale, la ricerca di una corrispondenza intima con la misura umana.
Nel 1955 iniziò ad utilizzare come fissativo un prodotto chimico chiamato Rhodopas e solo così, secondo l’artista, il colore poteva acquisire una vita propria ed autonoma divenendo un individuo evoluto. Ben presto sentì l’esigenza di abbandonare lo studio delle diverse nuances per concentrarsi su un’unica tinta, il blu, che doveva unificare il cielo e la terra e dissolvere il piano dell’orizzonte. Fu nel 1956 che creò “la più perfetta espressione del blu”, un oltremare saturo e luminoso, privo di alcuna alterazione, poi da lui brevettato col nome di “International Klein Blue”.
Klein compose la sua prima “Symphonie monoton” nel 1947. Tra il 1948 e il 1952 viaggiò in Italia, Gran Bretagna, Spagna e Giappone, finché nel 1955 si stabilì permanentemente a Parigi dove tenne una personale al Club des Solitaires. I suoi dipinti monocromi vennero esposti alla Galerie Colette Allendy e alla Galerie Iris Clert di Parigi nel 1956. Klein morì a Parigi di infarto del miocardio nel 1962 a soli 34 anni di età, poco prima della nascita di suo figlio, anch’egli destinato ad essere “battezzato” Yves e a diventare artista, seppur scultore.
La mostra è una visione imperdibile di un pezzo d’arte del secolo scorso e del pensiero che l’ha prodotta.
Visibile a Milano presso il Museo del Novecento, curata da Silvia Bignami e Giorgio Zanchetti, in collaborazione con la Fondazione Lucio Fontana e gli Archieves Yves Klein, si potranno visionare opere arrivate da diversi musei come, solo per citarne alcuni: il Mnam, la Gam di Torino, il Mamac di Nizza e la Gnam di Roma.
Claudio Raccagni